Gli effetti psicologici della disoccupazione

Gli effetti psicologici della disoccupazione

– Nicola Perella –

La perdita del lavoro da parte di una persona, ancor più se rapida ed inaspettata, non costituisce per il singolo solo un problema di natura economica – “Come farò a pagare il prossimo affitto?” – ma rappresenta un vero e proprio trauma che connota in maniera più gravosa l’esistenza di un individuo, producendo i suoi effetti ad ampio raggio su molte delle sfere di vita di quest’ultimo.

Per capire questa significativa implicazione basti riflettere su quanti e quali significati il lavoro acquisisca ad oggi nella vita di ognuno di noi:

  • Il lavoro è fonte di reddito: lavorare significa avere il necessario per vivere, ma anche fruire di opportunità e poter in qualche modo direzionare maggiormente il proprio futuro. Se posso pagare gli studi ai miei figli, potrò dir loro: “Scegli la facoltà universitaria che più ti piace!”

  • Il lavoro struttura il tempo libero: sulla base degli impegni lavorativi organizzo le mie settimane.

  • Il lavoro è parte integrante della propria identità: spesso siamo connotati socialmente per cosa facciamo o noi stessi ci presentiamo come tali (il nostro mestiere). Ogni individuo costruisce una rappresentazione di sé basata anche sui propri ruoli socio-professionali e, spesso, anche in base a questi sviluppa sicurezza e autostima.

  • Il lavoro facilità i contatti interpersonali: così come la scuola è per un giovane un bacino di contatti sociali, il contesto di lavoro lo è spesso e allo stesso modo per un individuo adulto.

  • Il lavoro mantiene in attività, permettendo di ampliare ed esercitare le proprie doti, caratteristiche ed attitudini, potendosi conoscere sempre meglio, sperimentando se stessi nei compiti professionali in cui ci si cimenta e restando in un costante life learning.

Da ciò si può dedurre come la perdita del lavoro incida a fondo ed ampiamente sull’intera realtà di vita di un individuo. Un disoccupato non sarà, quindi, solo un lavoratore alla ricerca di un impiego, ma anche e soprattutto una persona in un momento di crisi. Ci dà un’idea realistica di questa difficile condizione, ad esempio, il film del 2007 di Silvio Soldini: “Giorni e nuvole”.

In tal senso è possibile identificare 5 fasi di reazione alla disoccupazione:

  • Fase anticipatoria: si possono sviluppare sintomi d’ansia legati alla minaccia di disoccupazione.

  • Fase immediatamente successiva all’evento traumatico, caratterizzata da shock e immobilismo, durante la quale la persona è sopraffatta dall’evento.

  • Fase ottimistica: l’individuo cerca di minimizzare quanto avvenuto.

  • Fase depressiva o pessimistica: il soggetto sviluppa perdita di autostima e sintomi depressivi, rassegnazione e ripiegamento su di sé e crede che “non ne verrà mai più fuori”.

  • Fase del fatalismo o dell’apatia: si sviluppa un adattamento passivo ed inerte alla nuova realtà, intesa come non modificabile e caratterizzata da locus of control totalmente esterno. Il disoccupato diventa “inattivo”.

Ecco allora come questo evento traumatico possa portare la persona a sviluppare i primi sintomi:

  • Sensi di colpa come difesa nei confronti della propria impotenza: si ritiene di non essere stati abbastanza validi e possono derivarne sentimenti di vergogna.

  • Sabotaggio preventivo, come prevenzione della delusione: soprattutto per disoccupati di lunga data, essi credono che li rifiuteranno sempre, così da inficiare le proprie opportunità e performances in colloqui di lavoro futuri, al fine di tutelarsi da ulteriori delusioni.

  • Immobilismo nel precedente ruolo lavorativo: incapacità di immaginarsi in qualcos’altro, rigidità e poca flessibilità in un contesto economico e lavorativo mutevole.

Si può, così, dedurre facilmente come la disoccupazione alteri significativamente lo stato di benessere psicologico dell’individuo, con effetti negativi sul livello dell’immagine di sé, dell’identità e dell’autostima, fino a generare disturbi anche sul piano più strettamente somatico:

  • Disturbi del sonno e depressivi (fino a sei volte superiori rispetto a quelli sviluppati da persone occupate)

  • Difficoltà di concentrazione, irritabilità, disturbi d’ansia

  • Senso di prostrazione, noia, senso di inutilità, senso di isolamento (a seguito della probabile perdita di molte occasioni di contatto interpersonale)

  • Maggiore rischio di cardiopatie, ipertensione e disturbi respiratori

  • Maggiori spese sanitarie: consumo maggiore di antidolorifici, sonniferi (3 volte superiori), antidepressivi e tranquillanti (5 volte superiori).

  • Maggiore esposizione al rischio di consumi di alcol e droghe.

Tutti questi effetti rappresentano le componenti di un vero e proprio “circuito depressivo” che spesso si instaura a seguito del verificarsi di tale evento traumatico: se la disoccupazione genera più diffusamente nell’individuo una bassa autostima, questa a sua volta produrrà in lui basse aspettative ed un senso generalizzato di sfiducia verso il futuro; tali elementi sono strettamente connessi all’instaurarsi di una sintomatologia depressiva, la quale, limitando a sua volta la capacità del soggetto di attivarsi per cercare nuove opportunità professionali, porterà ad un probabile perdurare dello status di disoccupato. E il circuito vizioso è instaurato.

In tal senso possiamo, quindi, concludere come si renda necessaria sia da parte delle forze istituzionali che di tali problemi si occupano, sia da parte degli operatori del benessere psicologico che a vario titolo entrano in contatto con persone che hanno subito l’evento traumatico della perdita del lavoro, una specifica attenzione all’ampia portata di aspetti che tale evento comporta, poichè la disoccupazione genera un impoverimento generale del soggetto, che si vede negate tutte o molte possibilità di soddisfazione personale e autorealizzazione, con effetti diretti non solo sul suo stato socio-economico, ma anche sul suo senso di identità personale e sul suo benessere psicofisico.