Quando la disabilità entra in una casa… Nel maggio 2001 l’OMS ha pubblicato la “Classificazione internazionale del funzionamento, della salute e della disabilità” (I.C.F.), riconosciuta da 191 Paesi come il nuovo strumento per descrivere e misurare la salute e la disabilità delle popolazioni. L’ICF mostra un cambiamento, nel tempo, nella concezione della disabilità: essa non è più solo un attributo della persona (menomazione, handicap), ma un insieme di condizioni potenzialmente restrittive derivanti da un fallimento della società nel soddisfare i bisogni degli individui e nel consentire loro di mettere a frutto le proprie capacità (Commissione Europea, Delivering and Accessibility, 26/9/2002). La Classificazione ICF rappresenta un’autentica rivoluzione nella definizione e quindi nella percezione di salute e disabilità: propone il modello biopsicosociale che supera la contrapposizione tra il modello puramente “medico” e quello puramente “sociale”di disabilità. L’ambiente viene identificato dall’ICF nel senso ampio del termine: dal contesto famigliare alla assistenza sociosanitaria, alla scuola , alla gestione del tempo libero, alle politiche sociali e del lavoro presenti in un paese. Tuttavia esiste ancora un divario tra tale concezione degli operatori e la concezione della società. L’approccio gruppoanalitico, con la sua attenzione a situare l’individuo nel più ampio contesto delle sue appartenenze (matrici) gruppali, sociali e culturali, è in sintonia con la concezione di disabilità formulata dall’ICF. La nascita di un bambino disabile o l’avvento di una disabilità nel corso della vita, rappresenta un evento traumatico e destabilizzante per l’intero nucleo familiare. Nel caso della nascita di un bambino con disabilità la coppia genitoriale e con essa la famiglia allargata si trovano di fronte ad un bambino “diverso” da quello immaginato, portatore di esigenze e bisogni spesso sconosciuti e difficili da decodificare. Le reazioni emotive che si scatenano in un genitore e nei famigliari di fronte alla disabilità di un figlio sono molteplici ed esprimono una profonda sofferenza. Le domande che affiorano di fronte ad un figlio con disabilità sono legate sia alla gestione della quotidianità e della patologia, sia alla prefigurazione del futuro. Spesso le informazioni date dai medici e raccolte nel tempo contribuiscono a rendere spinoso e impalpabile il futuro, aprono porte su “mondi” immaginati a volte come sereni altre volte come terribili e angoscianti. Il contesto socio culturale che circonda la famiglia può riuscire ad essere contenitore di tali angosce oppure rischia di rimandarle alla famiglia stessa con un incremento di intensità ed allarmismo. Oltre alle implicazioni emotive, la cura di un bambino disabile pone spesso i genitori di fronte a impegni particolarmente numerosi e gravosi. Tali impegni possono assorbire molto tempo, togliendo spazio ed energie a relazioni amicali, al tempo libero, a volte al lavoro di uno dei genitori. La complessità in termini di cure, di contatti con i curanti, di percorsi riabilitativi, di organizzazione della quotidianità e di carico emotivo, si accentua nel caso di separazione dei genitori. In queste circostanze il genitore accudente, affronta in maggiore solitudine una situazione gravosa. Per quanto i servizi di cura sul territorio spesso intensifichino i loro supporti, i genitori separati manifestano sovente la necessità di un sostegno alla funzione di accudimento, alla gestione del cambiamento e alla configurazione di nuovi equilibri. Anche i fratelli e le sorelle sono significativamente coinvolti nell’esperienza della disabilità: i bambini che vivono situazioni famigliari molto complesse sono esposti quotidianamente ad un surplus di stimoli ad alta intensità emotiva; la convivenza con questi aspetti (malattia, diversità, sofferenza) così difficili da maneggiare e da decodificare, tanto più in età evolutiva, può rendere maggiormente difficoltoso il percorso di crescita. Appare ormai evidente che questa inibizione comporta una fatica evolutiva intensa. La relazione fraterna può comportare una precoce responsabilizzazione nei confronti del fratello o della sorella disabile; accade inevitabilmente che vi sia una maggiore concentrazione di energie e tempo sul bambino portatore di disabiltà a discapito dei fratelli sani; per contro, su questi ultimi possono essere concentrati progetti ed aspettative di riuscita nella vita e di realizzazione di sé particolarmente intense. L’investimento familiare sul sostegno alla disabilità lascia spesso in ombra le necessità dei fratelli, portando a sottovalutare le manifestazioni di disagio che talvolta i fratelli stessi non possono riconoscere e mostrare per non gravare ulteriormente sulla propria famiglia. Prendere consapevolezza di tutti questi aspetti è difficile, così come è difficile affrontare i cambiamenti che un evento, come la nascita di un bimbo disabile, porta con sé, tuttavia, nel tempo, la possibilità di una famiglia di aprirsi agli altri, portando le proprie esigenze e confrontandosi con altre realtà, può diventare il primo segnale di rinascita e di costruzione di un progetto “nuovo” e realizzabile.– Sarah Minetti –
Psicologa Psicoterapeuta